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Ut credentes vitam habeatis
Mons. Daniele Gianotti
Il Figlio di Dio è venuto «perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (cf. GV 10,10); ma, perché questo si realizzi, egli mette in gioco la sua stessa vita, dà la sua vita, sapendo che «non c’è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici» (cf. GV 15,13). 
Il luogo nel quale questo «amore più grande» (evocato anche dal colore rosso) si manifesta pienamente, è la croce, qui rappresentata come la croce gloriosa (cf. le gemme), che è al tempo stesso patibolo e trono di gloria, culmine della vita apparentemente «tolta» a Gesù ma, in realtà, da lui donata (cf. GV 10,18). Nella croce si manifesta l’amore folle di Dio, più sapiente degli uomini (cfr 1 Cor 1,25); in essa la morte è sconfitta dall’amore, e alla sua luce si capisce finalmente che «se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (cf. la spiga), perché solo chi accetta di non fare della propria vita qualcosa da difendere a ogni costo, la conserva per la vita eterna (cfr. Gv 12,24-25).
La spiga evoca pure «i campi che già biondeggiano per la mietitura» (4,35), il raccolto abbondante che Dio prepara per i discepoli, mandati da Cristo a mietere dove altri hanno seminato: per il pastore, inviato a servire la Chiesa di Crema, è la certezza di raccogliere i frutti del lavoro di tanti altri, che hanno lavorato prima nello stesso «campo di Dio». Nella parte inferiore sono evocati i fiumi: scorrono ai piedi della croce e richiamano i «fiumi d’acqua viva» dello Spirito, il Soffio di vita che Cristo, dalla croce, «consegna» al mondo nel suo ultimo respiro.
Tutto, così, invita a «tenere fisso lo sguardo su Gesù» (Eb 12,2), la «stella radiosa del mattino» (cf. Ap 22,16). Il segno della stella è anche memoria della Madre del Signore, Stella maris, che custodisce nel cuore gli eventi stupendi del suo Figlio e sempre dice ai «servi» (primo fra tutti il vescovo): «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5).
C’è pure, qui, un elemento autobiografico, perché sono nato nel giorno della festa dell’Esaltazione della Croce (14 settembre), giorno che è anche il dies natalis di tre vescovi santi: Cipriano di Cartagine († 258), Giovanni Crisostomo († 407) e il reggiano Alberto di Gerusalemme, primo legislatore dell’Ordine Carmelitano († 1214).
«Ut credentes vitam habeatis» riprende alcune parole della (prima) conclusione del vangelo di Giovanni: «… questi [segni] sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché credendo abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,31).
L’evangelista ha raccontato Gesù riportando alcuni dei «molti segni» da Lui compiuti, per condurre alla fede in Lui e alla pienezza di vita che viene dalla fede; similmente una comunità cristiana – una Chiesa locale con il suo vescovo – è chiamata a diventare un «racconto vivente» di Gesù e del vangelo, perché altri siano attratti a Lui, possano conoscerLo, credere in Lui ed essere partecipi della vita piena che in Lui il Padre vuole comunicare al mondo.
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